I Bruzi (Fonte: www.carlocoppola.net) |
Già negli anni passati
(1960-1970) circolavano voci sull’esistenza di tombe antiche nelle zone alte di
Martelletto di Settingiano, nei terreni adiacenti alla stradella che porta sulla
collina, dove adesso si trova la statua di S. Francesco. Di queste tombe
nessuno sapeva dare notizie precise e i contadini, assillati da altre
problematiche, preferivano non parlarne.
Domenico Topa, paletnologo, in ‘’Le
civiltà primitive della Brettia’’(Genovesi & Figli editori, 1927), nel
riprendere in esame gli scritti e i ritrovamenti del catanzarese Giuseppe
Foderaro, aiuto ingegnere del Genio Civile, ci da notizia sull’esistenza di
tombe risalenti all’Età del Bronzo (II – I millennio a. C.) ‘’nella vallata del
Fallaco a Settingiano’’. Il Foderaro, in occasione di costruzioni di nuove
strade o di interventi sul territorio, aveva avuto il tempo
per osservare e studiare questi antichi ritrovamenti.
Nel 1882, durante un rinvenimento a Crichi, questo semplice impiegato non solo
ci fornisce una esauriente descrizione del contenuto sepolcrale preso in esame,
ma ci da notizie di altre tombe antiche nel catanzarese con ‘’oggetti di
sostanze e forme simili’’. Le tombe simili a quella di Crichi (e non descritte perché
somiglianti a questa nella forma e nei
contenuti) erano quelle di Tiriolo, di Squillace, di Strongoli, Borgia, Nicotera e ‘’le tombe nella vallata del
Fallaco a Settingiano”.
Gli arredi di queste tombe
assieme ai resti dei lontani defunti, erano fibule, collane, rasoi,
braccialetti, lance con punte piatte, tutte in bronzo, ossidiane taglienti,
mazze in pietra.
Le tombe di cui parla il Foderaro
erano a forma di parallelepipedo dalla lunghezza di circa un metro e trenta
centimetri, larghezza cm 35, profondità 35 cm, consistevano in blocchi di
pietra calcarea (reperita sul posto), approssimativamente lavorata, non
presentavano segni di scrittura.
Molti di questi oggetti (arredo
tombale di questi lontani abitanti) si trovano nel museo di Catanzaro. Alcuni
sono catalogati e se ne conosce la provenienza, altri invece, senza nessuna
descrizione, sono ammucchiati in qualche deposito.
Delle tombe della vallata del Fallaco adesso si sa poco o
niente. Tutto è stato distrutto.
Quello che rimane sono solo le poche notizie riportata sul libro sopra citato di Domenico
Topa.
Ho iniziato parlando di doveri e
finisco, senza dilungarmi troppo, col dire che le istituzioni e i cittadini
tutti avrebbero il dovere di dedicare un
po’ di tempo in più alla ricostruzione della vita di queste comunità brettie, vissute nel lungo
periodo preellenico nella ‘’Vallata del Fallaco’’. I Brettii della provincia di
Catanzaro, lungi dall’essere considerati dei selvaggi sanguinari (come vengono
definiti da qualche storico romano), furono un popolo civile di pastori (nelle
vicinanze dei sepolcri sono state trovate ossa di capra), di cacciatori (costruivano delle lance adatte
alla caccia), di agricoltori; davano molta importanza al rito funebre non solo
per motivi igienici, ma anche religiosi; sapevano costruire oggetti in rame e
in bronzo (lega di rame e stagno); avevano dei rapporti con altri popoli lontani
(l’ossidiana per la costruzione delle lance proveniva dalle isole Eolie e la
pietra verde del Corace e di Gimigliano è stata trovata in alcune tombe
dell’Italia centrale.
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