mercoledì 25 febbraio 2015

I BRETTI A SETTINGIANO

I Bruzi (Fonte: www.carlocoppola.net)
Richiamare alla memoria, scrivendo, ‘’sprazzi di vita’’ di questo meraviglioso territorio settingianese, non e’ solo un piacere di qualche solitario appassionato di antichità, ma anche un dovere da parte di quelli che vi sono nati o cresciuti. Solo così si possono evitare, quando si parla di vita vissuta nel nostro territorio, i facili ‘’pressappochismi’’ e le insignificanti esaltazioni.
Già negli anni passati (1960-1970) circolavano voci sull’esistenza di tombe antiche nelle zone alte di Martelletto di Settingiano, nei terreni adiacenti alla stradella che porta sulla collina, dove adesso si trova la statua di S. Francesco. Di queste tombe nessuno sapeva dare notizie precise e i contadini, assillati da altre problematiche, preferivano non parlarne.
Domenico Topa, paletnologo, in ‘’Le civiltà primitive della Brettia’’(Genovesi & Figli editori, 1927), nel riprendere in esame gli scritti e i ritrovamenti del catanzarese Giuseppe Foderaro, aiuto ingegnere del Genio Civile, ci da notizia sull’esistenza di tombe risalenti all’Età del Bronzo (II – I millennio a. C.) ‘’nella vallata del Fallaco a Settingiano’’. Il Foderaro, in occasione di costruzioni di nuove strade o di interventi sul territorio, aveva avuto il  tempo  per osservare e studiare questi antichi ritrovamenti.
Nel 1882, durante un rinvenimento  a Crichi, questo semplice impiegato non solo ci fornisce una esauriente descrizione del contenuto sepolcrale preso in esame, ma ci da notizie di altre tombe antiche nel catanzarese con ‘’oggetti di sostanze e forme simili’’. Le tombe simili a quella di Crichi (e non descritte perché  somiglianti a questa nella forma e nei contenuti) erano quelle di Tiriolo, di Squillace, di Strongoli, Borgia,  Nicotera e ‘’le tombe nella vallata del Fallaco a Settingiano”.
Gli arredi di queste tombe assieme ai resti dei lontani defunti, erano fibule, collane, rasoi, braccialetti, lance con punte piatte, tutte in bronzo, ossidiane taglienti, mazze in pietra.

 

Le tombe di cui parla il Foderaro erano a forma di parallelepipedo dalla lunghezza di circa un metro e trenta centimetri, larghezza cm 35, profondità 35 cm, consistevano in blocchi di pietra calcarea (reperita sul posto), approssimativamente lavorata, non presentavano segni di scrittura.
Molti di questi oggetti (arredo tombale di questi lontani abitanti) si trovano nel museo di Catanzaro. Alcuni sono catalogati e se ne conosce la provenienza, altri invece, senza nessuna descrizione, sono ammucchiati in qualche deposito.
Delle tombe della vallata del Fallaco adesso si sa poco o niente. Tutto è stato distrutto.
Quello che rimane sono solo le poche notizie  riportata sul libro sopra citato di Domenico Topa.

Ho iniziato parlando di doveri e finisco, senza dilungarmi troppo, col dire che le istituzioni e i cittadini tutti  avrebbero il dovere di dedicare un po’ di tempo in più alla ricostruzione della vita  di queste comunità brettie, vissute nel lungo periodo preellenico nella ‘’Vallata del Fallaco’’. I Brettii della provincia di Catanzaro, lungi dall’essere considerati dei selvaggi sanguinari (come vengono definiti da qualche storico romano), furono un popolo civile di pastori (nelle vicinanze dei sepolcri sono state trovate ossa di capra),  di cacciatori (costruivano delle lance adatte alla caccia), di agricoltori; davano molta importanza al rito funebre non solo per motivi igienici, ma anche religiosi; sapevano costruire oggetti in rame e in bronzo (lega di rame e stagno); avevano dei rapporti con altri popoli lontani (l’ossidiana per la costruzione delle lance proveniva dalle isole Eolie e la pietra verde del Corace e di Gimigliano è stata trovata in alcune tombe dell’Italia centrale.

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